L'intervista all'illustratore Francesco Poroli

I visionari: l’intervista a Francesco Poroli

5 Giugno 2020
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Continua il ciclo di interviste della rubrica “I visionari“. Oggi ECLISSE incontra virtualmente Francesco Poroli, illustratore e art director freelance che vive e lavora e Milano

Intervista a Francesco Poroli, illustratore
Un’istantanea dell’intervista. Fabiana De Luca (ECLISSE) a sinistra, Federico Frasson (FK Design) in alto a destra e Francesco Poroli in basso a destra

Chi è Francesco Poroli? Com’è iniziata la tua carriera? Avresti mai pensato di arrivare dove sei arrivato.

Non mi piacciono tanto le etichette e quindi trovare una parola per definire chi sono e quello che faccio non mi piace tanto, anche perché probabilmente sono arrivato a fare l’illustratore per via traverse, non ho avuto il classico percorso ma ho fatto tutto un altro giro e l’ho presa larga.

Ho studiato lettere moderne, però disegnavo tutti i giorni come terapia personale e non pensavo che questo sarebbe diventato il mio lavoro. Facevo i miei disegnini e me li tenevo per me. Era il mio angolo sicuro, la mia terapia appunto in cui mi rifugiavo quando avevo bisogno di stare bene. Non pensavo esistesse un matto disposto a darmi dei soldi. Poi è successo tutto abbastanza per caso.

Dopo tanti anni di grafica pura, editoriale soprattutto, ho fatto vedere i miei disegni a una persona perché avevo bisogno di avere un feedback. Gli scrissi una mail dicendogli che avevo bisogno di schiaffoni e di avere un parere informato. Lui mi ha risposto dandomi una commissione, la prima della mia vita. E per quella parte che va sotto il nome di fattore C (quelle quattro lettere) quella era una commissione importante perché era la copertina del New York Times Magazine.

Da lì è partito tutto e ho capito due cose: la prima è che forse i miei disegni non erano poi così male se potevano finire in quella copertina, la seconda che dovevo perdere un po’ di vergogna. Oggi Francesco è un illustratore, ma chi lo sa se lo sarà ancora tra 5 anni?

Mi chiedono spesso quand’è che inizierò a lavorare. A volte quando parlo delle mie cose parlo di disegnini, nome che viene da un mio amico che fa un lavoro “vero” e spesso, quando ci vediamo, mi ricorda di non lamentarmi se magari gli dico che sono un po’ stanco. Questa cosa è fantastica perché mi riporta coi piedi per terra e mi ricorda che sono un privilegiato, perché vengo pagato per fare qualcosa che amo. Questa è una cosa di cui esser grati, nonostante le difficoltà e le complicazioni che esistono nella vita di un freelance.

Non avrei mai pensato di arrivare dove sono arrivato. Ogni giorno è una scoperta per me. Anche questa intervista. Negli ultimi anni è successo spesso che qualcuno mi chiedesse di parlare e non solo di disegnare. Mi è capitato di aver incontri pubblici e raccontare delle storie, questa oggi è una delle tante. Mai avrei pensato che qualcuno mi potesse dare dei soldi per i miei scarabocchi, né di essere di ispirazione per qualcun altro. Non voglio nemmeno aspettarmi niente, perché ho capito che senza aspettarmi niente le cose succedono e diventa ancora più divertente.

Hai realizzato recentemente proprio per noi di ECLISSE un’illustrazione in occasione della nostra nuova campagna pubblicitaria. Cosa ti ha ispirato? Qual è stato il tuo processo creativo?

Il processo creativo è partito dalle parole chiave che ECLISSE mi ha messo sul tavolo. Sia il Vedere Oltre, sia l’idea che questo non fosse un esercizio singolo di qualcuno che da solo guardava avanti. Mi piaceva l’idea che ci fossero due persone a simboleggiarne molte di più. Guardare in due nella stessa direzione vale molto di più. Il futuro lo si costruisce in due, in tre, e così via. Spingendo insieme nella stessa direzione, sicuramente si ottiene di più rispetto all’azione del singolo pioniere.

C’è il binocolo come simbolo dello sguardo rivolto al futuro, di un gruppo, di più persone che guardano nella stessa direzione. Non a caso nell’incontro di queste due mani, all’interno di quell’arco che queste disegnano, è racchiusa tutta la filiera composta da altre realtà: un insieme di persone che raccontano però la stessa storia.

Vediamo Oltre: l’illustrazione di Francesco Poroli per ECLISSE

Pensando al difficile periodo appena trascorso, come ha influito la quarantena sulla tua creatività?

Ho avuto la sensazione che questa situazione di chiusura abbia moltiplicato la creatività di tanti. Sicuramente io ho uno sguardo privilegiato sulla creatività che mi circonda.

Penso che per tanti di noi, amici, colleghi, professionisti della comunicazione visiva, la quarantena abbia agito da moltiplicatore. Il fatto di essere chiusi dentro ci ha spinto a usare la nostra creatività. Ognuno con la sua tecnica, ognuno con il suo linguaggio ha agito come grimaldello per mettere fuori la testa quando proprio non c’era la possibilità di farlo fisicamente.

Io ho disegnato tantissimo con il mio iPad, che è stato uno dei miei fedeli compagni di questo periodo. Ho anche disegnato molto a mano, cosa che non facevo da tempo. Ho riscoperto vecchie passioni tipo il lettering fatto a mano. Queste attività facevano bene a me, ma non solo.

I contenuti che creavo erano relativi a quello che stavo vivendo, ma comuni per tanti. Tutti stavamo vivendo questa situazione talmente straordinaria e fuori dall’ordinario che c’era il bisogno di raccontarla. Sfruttare la mia creatività come terapia personale in realtà mi ha anche restituito nuovi contributi, perché questi messaggi rinchiusi in una bottiglia affidati al mare della rete venivano raccolti da un numero notevole di persone che me li restituivano e li amplificavano aggiungendoci le loro storie. C’è stato uno scambio molto umano, anche con persone sconosciute.

Paradossalmente questa quarantena ha moltiplicato la mia creatività e l’effetto che questa ha avuto su di me e sulle persone che mi seguivano. “Think outside the box”, mai come in questo periodo ha avuto un senso questa frase. Tutti eravamo chiusi dentro nella nostra scatola, nella nostra casa, ma riuscivamo, grazie alla creatività, ad immaginarci fuori.

Com’è cambiato il mondo e il modo di gestire gli spazi con questa emergenza? Questo ha influito anche nelle tue illustrazioni?

Per me è cambiato molto. Diciamo che anche a livello fisico io partivo avvantaggiato. Già da prima lavoravo in smart working come illustratore e lavoravo da solo, spesso e volentieri tra le mura di casa. Quindi quella parte del mio lavoro non è cambiata molto.

L’unica differenza è che prima era uno smart working solitario, il resto della famiglia andava a scuola o in ufficio e io stavo a casa sereno a disegnare. Quell’aspetto è cambiato all’improvviso perché non ero più solo io, ma eravamo in tanti con orari ed esigenze diverse e con degli spazi da gestire. La casa è diventata spesso un piccolo co-working. Ho due bambini e capitava la lezione di matematica della piccola in contemporanea con quella di storia del più grande, mentre la mamma era impegnata in una call per un certo cliente, col wi-fi costantemente messo a dura prova e qualcuno che finiva col collegarsi con la linea dati del telefono. Non è cambiato lo spazio, quanto piuttosto chi lo frequentava. C’è da dire poi che io sono anche un animale notturno, quindi comunque alla sera, quando tutti andavano a letto, io avevo anche del tempo per recuperare.

Le mie illustrazioni sono state influenzate nel tema, cioè nel contenuto. Io penso che l’illustrazione, l’arte, l’esercizio creativo debbano sempre confrontarsi con il mondo. Essere un professionista della comunicazione visiva è una responsabilità dal mio punto di vista. Devi trovare una chiave per raccontare il mondo che ti circonda e quello che stai vivendo e quando lo fai lo fai parlando al pubblico. Quindi è una doppia responsabilità. Non puoi esimerti dal fare questo esercizio. In questo momento era ancora più necessario, era obbligatorio parlare di quello che ci stava succedendo. Ed è per quello che ho detto sì a qualsiasi tipo di sollecitazione che avesse un ruolo pubblico.

Ho detto sì a qualsiasi progetto di raccolta fondi mi arrivasse sul tavolo. Abbiamo fatto una raccolta fondi per la Croce Rossa che si chiama Progetto Covid Uncover in cui siamo ritrovati coinvolti in una ventina di illustratori italiani dai nomi pazzeschi. Una sera, tutti collegati ognuno da casa propria, abbiamo avuto la possibilità di ritrarre due modelli che posavano nudi per noi solo con le mascherina. Le opere sono poi state battute all’asta e abbiamo raccolto più di 15 mila euro.

Un altro esempio è stato i Proiezionisti anonimi. Questi ragazzi di Roma si sono inventati questa cosa e hanno iniziato a proiettare delle frasi sui grattacieli, a partire dal logo di Batman. Una sera hanno scritto anche a me chiedendomi se avessi voglia di prestare a loro alcune delle mie frasi. È stata un’emozione meravigliosa vedere il mio “messaggio in bottiglia affidato alla rete” proiettato gigante su un muro di Roma durante una notte qualunque della quarantena. Tutto questo per dire che qualunque occasione è stata buona per prestare il mio linguaggio.

Ora il progetto Proiezionisti Anonimi è diventato un libro. L’illustrazione della copertina è stata donata da Francesco Poroli. Il ricavato sarà devoluto alla Croce Rossa italiana.

Maggiori info: www.proiezionistianonimi.it

Ripeto, sono un privilegiato. La mia fortuna è anche quella di frequentare un linguaggio che è assolutamente democratico, diretto e impattante e che le persone possono capire con un singolo sguardo. Era obbligatorio quindi prestare la mia voce ogni qualvolta fosse possibile per provare a raccontare qualcosa alle persone. In questo senso è stato un esercizio bellissimo, quanto necessario. 

Quali sono state le porte che hanno aperto la strada al tuo successo?

Secondo me le porte sono comuni per tutti, al di là delle singole storie ed occasioni. Quel fattore C di cui parlavo all’inizio c’entra sempre, ma ti fa pubblicare la prima volta.

Poi da lì entrano in campo le cose vere che, dal mio punto di vista, hanno a che fare con il metodo e con il lavoro, più che con il talento. Nel mio lavoro e nell’attività di insegnamento, di talento puro e di gente bravissima a disegnare molto più di me ne vedo tutti i giorni. Ma di questi non tutti arrivano a farne una professione vera. Quello che fa la differenza è la voglia di lavorare, il sacrificio che fai tutti i giorni.

E poi anche l’essere gentili con le persone. C’era un poster che girava tempo fa “Work hard and be nice to people”, ecco da qui hai già fatto metà del lavoro. Lavora duro e sii gentile con le persone. Poi ovvio, un po’ di talento ed essere portati per un certo tipo di linguaggio è necessario, ma da solo non è sufficiente. Servono anche un modo di rapportarti alle persone e la voglia di farti il mazzo.

Come ti immagini gli ambienti del domani? Che aspetto avrebbe la casa dei tuoi sogni?

In questo momento preciso, visto che arriviamo tutti da mesi difficili, i luoghi del domani me li immagino belli affollati. Luoghi dove le persone possano sentirsi bene, essere a loro agio, vivere senza avere paura. Come questo si traduca nello specifico non lo so, ma mi piacerebbe che gli ambienti di domani fossero così. Immagino che dopo quello che abbiamo passato, ci sarà un momento per cui qualunque ambiente non sarà per forza così amichevole. Avremo un momento di contraccolpo, dove ogni luogo sarò visto con sospetto. Gli ambienti del domani me li voglio immaginare come spazi dove ci sentiamo accolti, dove non abbiamo necessità di stare con il freno a mano, condivisi e senza paura. Davvero mi piacerebbe, non so quando né come, ma mi auguro qualcosa che vada in questa direzione. Non so quante volte abbiamo letto il dibattito per cui tutto questo ci renderà migliori e ne usciremo più forti di prima. Non so quando succederà, ma un po’ per formazione mia mentale, un po’ perché non vorrei darla vinta, davvero mi piacerebbe immaginare degli ambienti in cui saremo veramente migliori nel modo in cui approcciamo agli altri e agli ambienti che ci circondano, arrivando ad essere protagonisti in positivo. Per una volta abbiamo veramente l’opportunità di migliorare.

Penso nello specifico, per esempio, al discorso sulle piste ciclabili volute dal sindaco Sala. Questa arteria pazzesca di 20 chilometri che va da San Babila fino a Sesto San Giovanni ha ridotto lo spazio per le macchine. È ovvio che sarà un problema, non dico di no, è ovvio che qui il traffico probabilmente raddoppierà, ma meno male che c’è chi ci mette la faccia e fa queste scelte, magari non così popolari.

Bicicletta lungo le strade di Milano
Foto Connor Houtman – Unsplash

Abbiamo questa occasione, proviamo a coglierla. Anche perché queste scelte verranno apprezzate a distanza di anni. Serve una visione, essere lungimiranti e vedere oltre. Serve il coraggio di non guardare al domani ma più in là, ad almeno 10 anni e oltre il proprio tornaconto personale, il proprio orticello, anche se nel breve periodo puoi creare un disagio. 

Cosa significa per te Vedere Oltre?

Nel mio quotidiano Vedere Oltre significa prendere le parole, le storie che mi arrivano dalle aziende, dai giornali con cui collaboro e trasformarle in qualcosa di diverso. È il lavoro di sintesi che il brand mi affida e inventare un’immagine. La mia personalissima capacità di Vedere Oltre è questo: partire ad esempio da un brief di 5 mila parole e riuscire a riassumere il tutto in una singola immagine in cui un’azienda riesca a riconoscersi. Ringrazio sempre chi in qualche maniera mi affida questo compito di responsabilità, non facile ma bellissimo.

Nel mio personale, Vedere Oltre significa pensare ai miei figli e quindi obbligatoriamente il mio vedere oltre è vedere loro. Significa non ragionare più solo per me, ma impostare obbligatoriamente le scelte, anche le più piccole e banali, pensando a loro.

In generale Vedere Oltre è poi quello che dicevo prima. Significa seguire, avere fiducia, affidarmi, conoscere e frequentare persone che abbiano la capacità di raccontarmi con uno sguardo che non punta al domani, ma a 10 anni da ora, e che sappia prendere decisioni di conseguenza. 

Ci consigli un libro?

Il primo che mi viene in mente è The Game di Baricco, perché è la fotografia esatta di dove eravamo. Quindi un riferimento utilissimo per guardare oltre. L’ho trovato straordinario, anche se ho la sensazione che, dopo quello che è successo, avrebbe bisogno di un aggiornamento perché la quarantena ha cambiato molte delle logiche a cui eravamo abituati e che Baricco ha raccontato.

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