Un’altra preziosa intervista ad arricchire la nostra rubrica “I visionari”
Il contributo di Francesco Morace
Oggi abbiamo intervistato Francesco Morace, sociologo e saggista, fondatore del Future Concept Lab, istituto di ricerca internazionale a supporto dell’innovazione.
Francesco Morace è docente di Social Innovation al Politecnico di Milano e di Culture & Lifestyle all’Università di Trento.
Dal 2015 organizza e dirige il Festival della Crescita.
• Chi meglio del presidente di Future Concept Lab può darci la sua opinione sul futuro delle aziende italiane dopo questo periodo difficile?
Facciamo un passo indietro. Il Covid-19 è stato uno stress test sia per le persone che per le aziende, in tutto il mondo. La quarantena generalizzata ci ha costretto in modo paradossale a ragionare su alcuni valori che rischiavamo di dimenticare: la qualità del respirare rispetto al rischio di inquinamento. La riflessione strategica rispetto alla frenesia produttivista. La coscienza sistemica rispetto agli interessi particolari. La bellezza del contatto fisico rispetto alla virtualità del digitale e dei social. Le relazioni familiari rispetto all’inadeguatezza di genitori troppo assorbiti da incombenze lavorative. La sensibilità reciproca rispetto all’isolamento.
Anche per le aziende italiane è stato un periodo denso di insegnamenti: non si tratta di riportare il tempo a un passato che non esiste più, con il rischio palpabile di regressione, demonizzando produttività e consumo, ma di ricercare il giusto equilibrio, con sensibilità e intelligenza: noi italiani siamo comunque padroni del nostro destino in equilibrio tra etica ed estetica.
Normalmente nelle emergenze siamo più bravi degli altri: ci ricompattiamo e ritroviamo un orgoglio che purtroppo non appartiene invece al nostro sentire quotidiano. L’ipotesi di lavoro secondo me percorribile riguarda la possibilità concreta dell’Italia e degli italiani di giocare un ruolo rilevante nel cambiamento in atto. Puntando sul fattore che spesso viene confuso con il made in Italy e che invece è altra cosa: l’Italian way. Il modo italiano di fare le cose, di pensarle, di realizzarle. Ingegnoso e imprevedibile come il virus, secondo una logica trasversale, non lineare, che altri teorizzano e che noi mettiamo in pratica, spesso con poca consapevolezza. L’Italian way può diventare un antidoto: può rafforzare il sistema immunitario puntando sulla propria unicità, creatività, distintività.
Ho appena sviluppato questa ipotesi di lavoro nel mio libro La Rinascita dell’Italia. Una visione per il futuro tra etica ed estetica uscito il 25 giugno nelle librerie.
• Come questa pandemia ha aperto le porte a nuove opportunità e come possiamo coglierle?
In questa fase così delicata crediamo che si possa rilanciare la sfida in termini di bellezza aumentata, seguendo la nostra natura e rafforzando il nostro DNA. Il primo stimolo di riflessione che emerge dall’Italian factor mette insieme il valore umano, l’intelligenza contestuale, il tocco d’artista e il tailor made.
Tutto ciò che è bello, armonico, piacevole al tatto e alla vista, diventerà nuovamente desiderabile in un mondo che per alcuni mesi ha vissuto con il fiato sospeso, temendo per la propria sopravvivenza. Il bello – senza gli eccessi del lusso – tornerà a fornire una ragione di vita, un motivo di godimento quotidiano, e in questo senso aumenterà il proprio ruolo sociale, inclusivo, rasserenante, a partire proprio da quegli spazi pubblici che nei tempi del contagio sono stati evitati. Emergerà una riflessione sulla bellezza come bene comune, sulla vitalità di un’estetica che è un sentire e che aiuta le persone a vivere meglio, trasformandosi in etica aumentata.
Un valore che non ha un costo e nemmeno un prezzo, ma incarna la forza del gusto, dei legami, della cultura, della bellezza e dell’autenticità. Continueremo a non imitare gli altri ma non dovremo atrofizzare le imprese bloccandole nella paura, sulla difensiva; dovremo piuttosto spingerle ad affrontare i mercati con il coraggio del futuro.
• Qual è l’atteggiamento migliore per affrontare il futuro?
Nella crisi che stiamo attraversando è emersa l’imperscrutabile valenza umana che risiede in ogni vera intelligenza: fragilità, esitazione, empatia, solidarietà ma anche paura, sospetto, sfiducia. Si è trattato di immaginare soluzioni impreviste, risolutive: tornando sui problemi e risolvendoli con un pensiero «altro», non lineare, secondo le logiche della sperimentazione scientifica. È risultata evidente l’inevitabile confusione che la metamorfosi in atto ha generato in un tempo sbandato, che è costretto a ridefinire le mappe del proprio pensare e quindi del proprio agire. L
a scommessa si è giocata nella capacità dell’umano di attivare la sua intelligenza più profonda, nutrendosi in modo sensato dei dati che quotidianamente avevamo a disposizione per scegliere la giusta strategia, meno orientata a desideri immediati (che diventano capricci) e impegnata invece nella costruzione di un mondo «integro», che preservasse la nostra salute, all’interno di quel quadro equilibrato di diritti e doveri su cui continua a fondarsi la convivenza umana. È questa la nuova dimensione della sostenibilità dell’umano.
In questa partita il pensiero scientifico ha avuto un ruolo decisivo, con la sua capacità di sperimentare, condividere, perfezionare e scegliere, che peraltro è ciò che ci fa ben sperare nell’orizzonte futuro della convivenza civile. Sostenibilità intelligente che rispetta non solo il pianeta ma anche l’ecosistema delle relazioni umane. E’ questo il migliore atteggiamento da adottare per affrontare un futuro che ci riserverà grandi sfide.
• Come si immagina gli ambienti del futuro? Come sarebbe il suo ufficio ideale?
Oggi stiamo uscendo faticosamente da mesi in cui abbiamo visto slabbrato il tessuto stesso della nostra quotidianità e lo facciamo con preoccupazioni crescenti che non riguardano solo la salute, ma anche i ritmi e la promiscuità dei luoghi, degli spazi di vita, di lavoro, di svago.
Avvertiamo il bisogno di aria, di attivare un nuovo respiro per noi e per gli oggetti che ci circondano, per gli spazi che viviamo, senza più solo attraversarli.
Il nostro quotidiano viene investito da una ventata di sensorialità: non solo la casa connessa, estroflessa, proiettata digitalmente nel mondo esterno, ma anche e soprattutto (da un punto di vista psicologico) i luoghi che diventano nido e capanna, sensoriali e accoglienti, che recuperano il cocooning dei primi anni ’80, quando ci si difendeva dalle paure degli anni di piombo, segnando il ritorno al privato.
Cercheremo di pensare al futuro come una possibilità buona, rigenerando oggetti, spazi e ambienti diversi, ripensando il nostro rapporto con lo spazio e con il tempo. Avevamo poco tempo e moltissimo spazio da attraversare, come neo-nomadi, dimenticando che senza la qualità del tempo di vita tutto questo perde valore. Poi siamo rimasti per lungo tempo confinati nello spazio domestico, spesso molto ridotto, e quando ne siamo usciti abbiamo desiderato una nuova qualità dello spazio.
Il mio ufficio ideale è quello in cui non si dovrà lavorare più gomito a gomito, in cui potersi concentrare ma anche confrontarsi. Con scrivanie e tavoli che assicurino un distanziamento che non è sociale ma piuttosto un diverso respiro attorno a noi, che porta ad un avvicinamento psichico. Questo è un elemento decisivo per una nuova visione degli uffici e non solo: possiamo definirlo un decongestionamento degli spazi. Pensiamo ad esempio ai trasporti urbani: bisognerà intensificare la frequenza dei vettori (tram e carrozze di treni e metropolitane) perché limitato sarà il numero di persone che potranno contenere. Questo vuol dire che stiamo conquistando un nuovo ‘respiro’ attorno a noi.
Nel momento in cui il virus attacca il sistema respiratorio, dovremo fare una battaglia a favore del respiro, intorno alle cose, intorno alle persone e nei luoghi che viviamo.
• Come saranno invece le persone del futuro?
Più sensibili e consapevoli ma anche più spaventate. Mi interessa anche indicare quali caratteristiche dovrebbero avere le persone del futuro: essere catalizzatori di esperienze virtuose e utili, collegandosi tra loro su scala globale per il bene di tutti: come ha affermato Papa Francesco nessuno si salva da solo.
È in questo modo che si potranno mettere a punto nuovi strumenti di social networking per un’economia aperta. Siamo oggi alle soglie di una rivalutazione della conoscenza qualitativa, difficilmente misurabile e standardizzabile, ma incredibilmente ricca di contenuti intensamente creativi.
Da conciliare naturalmente con gli straordinari risultati a cui la rivoluzione scientifica ci ha condotto, e che è stata giustamente celebrata nei giorni della crisi. Le persone dovrebbero rispettare una catena di valori con questa progressione: radicazione, educazione, esplorazione, innovazione. Il lavoro e la crescita economica sono un punto di arrivo, che si conquista con il riconoscimento di quello che siamo.
Saranno questi i bastioni del nuovo modello di business che il made in Italy dell’eccellenza potrà proporre con successo, fondandosi più sull’alta intensità dell’esperienza che sull’alta gamma.
• Chi sono per lei i veri visionari di questa epoca? Qual è l’identikit del visionario?
I visionari della nostra epoca sono le persone che dimostrano il coraggio di perseguire una loro utopia personale che può poi diventare collettiva, se debitamente condivisa. Nel mondo dell’impresa italiana l’esempio più chiaro, universalmente riconosciuto, è quello di Adriano Olivetti che con la sua visione di Comunità ha tracciato una strada che solo oggi viene compresa fino in fondo: l’ipotesi di una Economia Civile.
In questa riflessione ci aiuta Roberto Mordacci, Preside della Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele e autore di Ritorno a utopia, un libro che poco prima dell’arrivo del Covid-19 affermava in quarta di copertina: “Il mondo contemporaneo ha assoluto bisogno di pensare il futuro come una possibilità buona”. Io credo che oggi le aziende debbano cogliere questa occasione utopica, riscattandosi da un recente passato in cui la pervasività dei social e l’ansia da influencing ha sostituito Vision lungimiranti e Mission credibili. Si tratta di trovare la giusta consonanza con la società civile.
Un esempio che arriva dal mondo della Moda da un grande visionario che ha inventato l’Italian Style: Giorgio Armani che con la sua lettera rivolta al mondo della moda ha coraggiosamente affermato la moda ora deve rallentare il suo ritmo insostenibile. A tempi straordinari si risponde con iniziative altrettanto fuori dall’ordinario.
• C’è stato un momento della sua vita che le ha fatto vedere oltre?
Si, c’è stato un momento della mia vita in cui tutto questo mi è stato chiaro: il 4 marzo del 1993 sono stato coinvolto nel più grande incidente stradale della storia italiana con decine di morti e centinaia di feriti. Ho rischiato di morire e al risveglio dal mio viaggio extra-corporeo, durante il mio ricovero all’Ospedale di Parma che è durato alcune settimane, ho capito quale sarebbe stata la mia Visione della vita: ringraziare il destino di avermi regalato un tempo supplementare che non avrei dovuto sprecare.
Credo che nel mondo PostCovid questo pensiero debba essere la nostra guida, alimentando il coraggio di esistere con passione e dignità.
• Cosa significa per lei Vedere Oltre?
Vedere Oltre significa dare il giusto peso allo straordinario potenziale dell’umanità.